La rivoluzione inquieta della graphic novel

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Breve Storia del fumetto – Il Fumetto negli Stati Uniti 5° parte

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L’era della graphic novel

Nel 1978, dopo ventisei anni, Will Eisner rientra nel mondo dei fumetti inventando un nuovo formato editoriale, la graphic novel. Eisner rivendica l’appartenenza a una tradizione letteraria; il termine comics gli sta stretto e propone la denominazione alternativa sequential art.

Disegna quelli che sono veri e propri romanzi per immagini, con uno stile realista che sfocia a volte nella caricatura, racconta a fumetti temi di vita quotidiana che riguardano di solito i cittadini newyorkesi, nel solco della tradizione narrativa ebraica.

La crisi del fumetto di supereroi è profonda negli anni Settanta. È una crisi commerciale che risente però anche della rivoluzione grafica europea verso un linguaggio ormai maturo. Gli editori per uscire dalla crisi seguono principalmente due strade: temi più maturi, con un maggiore approfondimento della psicologia dei personaggi, adatti ad un pubblico più adulto; la creazione di una rete di negozi specializzati dove si concentra la vendita dei fumetti.

La graduale rinascita del genere comincia con il Batman di Neal Adams, diventato eroe oscuro e gotico, si rivolge a un pubblico più adulto che in passato.

Frank Miller è il primo autore che dimostra di avere assimilato la lezione europea, ed allo stesso tempo il primo a intuire il potenziale innovativo del fumetto giapponese. Ottiene i primi successi con Daredevil, da Wolverine a Ronin, ma è con The Dark Knight Returns, da lui scritta e disegnata nel 1986, in cui torna in azione un Batman non più giovane, tormentato dai demoni del passato, che Miller fissa il punto di non ritorno del fumetto americano.

La sua costruzione sia grafica che narrativa è coinvolgente, il ritmo sostenuto come non mai, ed allo stesso tempo i temi e la psicologia dei personaggi sono molto approfonditi, il target è un pubblico adulto e acculturato (1).

C’è un altro evento cruciale per il fumetto americano, sempre nel 1986, si tratta di Watchman, la “più feroce critica dell’immaginario superomistico mai prodotta a fumetti”(2), una miniserie di dodici episodi scritta da Alan Moore e disegnata da Dave Gibbons. I due sono inglesi e si sono formati in Europa negli anni settanta lavorando per riviste di fantascienza a fumetti. Alan Moore, che ha già pubblicato in patria V for Vendetta con disegni di David Lloyd, ha uno stile narrativo sofisticato, ricco di riferimenti al mondo della letteratura come a quello di fumetti, “il godimento che il su testo è capace di procurare al lettore va conquistato con un’attenzione continua, un continuo sforzarsi di capire, di fare ipotesi.” (3)

Il dualismo tra Miller e Moore indirizzerà la trasformazione del settore del comic book, la figura dell’autore acquisterà via via maggiore importanza nell’economia di vendita della serie e verranno incentivate produzioni di qualità, rivolte a un pubblico adulto, quasi sempre destinate a essere ripresentate sotto forma di graphic novel. La DC, più propensa al rinnovamento, raccoglie gli autori più innovativi, mentre la Marvel si dimostra insensibile al riconoscimento del valore e dei diritti degli autori.

(Di Marco De Giorgio)

(1) Daniele Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, op. cit. pp. 125-127

(2) Ibidem

(3) Ivi, p. 128

 

 

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