Comics Testimonial: Umberto Eco

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Umberto Eco – Quattro modi di parlare di fumetti

Quando in una raccolta di scritti dedicata ai fumetti (o a un particolare fumetto) si trovano saggi con riferimenti eruditi, e sottili analisi critiche, anatomia e vivisezioni strutturali – allora il lettore colto, anche se è un estimatore del genere-fumetto, prova un senso di noia. Al minimo, una sensazione di sospetto. Sono passati certo i tempi (ma parlo degli anni sessanta) in cui dedicare un saggio critico al fenomeno fumetto era accolto, negli ambienti “seri” da un coro di riprovazioni; anzi, c’è stata un’inversione di tendenza, e sul fumetto si scrive anche troppo, almeno in Europa. Voglio dire che il sospetto, o l’irritazione, sorgono proprio a chi via propria, e magari in anticipo sugli altri, ha praticato la nobile arte dello scrivere saggi “seri” sul fumetto. Guardando alla questione nella prospettiva degli ultimi venti anni, si può dire che si scrivono quattro tipi di saggi sul fumetto: (I) sul fumetto come medium in generale; (II) sui fumetti o su un fumetto particolare come sintomo sociologico; (III) su un fumetto qualsiasi come se si trattasse della Iliade; (IV) su un fumetto particolare, sapendo che appartiene al medium-fumetto, e a qualche genere praticato attraverso questo medium, ma dimenticando che è un fumetto (ma su questo modo di “dimenticare” mi soffermerò più oltre).

Tipo 1: Sogni sul fumetto come medium. Sono stati i saggi pionieristici, quelli che cercavano di ricostruire la storia del medium rilevandone le caratteristiche autonome e ricostruendone l’albero genealogico. Si pensi ai classici libri, puramente storici, di Whaugh e Becker, alle prime annotazioni, coraggiosissime, di Gilbert Seldes in Seven Lively Arts, a certe osservazioni di McLuhan, a tante opere più critiche che sono apparse in seguito, in cui si passava dalla storiografia alla definizione delle caratteristiche tipiche di un “linguaggio” (chi scrive, o Fresnault-Deruelle, Alain Rey, e altri). Questi scritti avevano tutti una funzione apologetica, nel senso in cui erano detti “apologisti” i primi Padri della Chiesa, che cercavano di presentare la Rivelazione ai pagani, e di difenderla contro i loro attacchi. Si trattava di dimostrare che i fumetti avevano un illustre pedigree (quante citazioni della pittura egiziana, della Biblia Pauperum, dei vari Max und Moritz ottocenteschi!), che avevano un linguaggio autonomo, che erano dunque un “genere”, che potevano dare esiti artistici, che non rovinavano la mente ai piccoli e non si limitavano a insufflare perverse ideologie agli adulti, che potevano sfuggire ai condizionamenti mercantili in cui erano nati, anche se questi condizionamenti andavano rilevati senza reazioni nevrotiche, perché ogni forma d’arte ha i propri condizionamenti… Molti di questi studi sono stati importanti e preziosi, molti altri ripetitivi, cosi che oggi non è raro vedere lo studente in caccia di una tesi, o l’amateur che vuole cimentarsi con un libro, pronti a riscrivere per l’ennesima volta che c’è una sintassi delle inquadrature, una semantica del balloon, una teoria testuale del montaggio, o che il primo fumetto è stato il mosaico di San Clemente. Accademia, certo, ma succede anche con i grandi della letteratura, ed è raro trovare una storia della lirica greca che ci dica qualcosa di nuovo. Tuttavia è certo che questa fase è passata, e al massimo può generare utili ricerche d’archivio, forse qualche edizione critica di Yel-low Kid.

Tipo 2:Il fumetto come sintomo sociologico. Il fumetto è un prodotto, quasi sempre pensato e distribuito pensando a un certo pubblico: sia che si tratti dei fumetti americani che dei fumetti della Cina di Mao, o dei fumetti indiani, che ogni collezionista possiede ma che nessuno ovviamente legge e analizza. Come ogni prodotto dipendente dal circuito dei mass media, può essere analizzato come sintomo dei gusti di un pubblico, o dell’ideologia dei suoi creatori e/o distributori. Giustamente si sono analizzate le premesse pre-maccartiste di little Orphan Annie, il poujadisme di Li’l Abner, il colonialismo latente di Phantom, e via dicendo. Come sempre in questi casi, ci sono state le ricerche controcorrente (The Phantom anticipa la rivolta del terzo mondo, per esempio – ma è stato difficile trovare l’ideologia negativa o positiva di Mandrake), e ci sono state le ricerche ingenue: per esempio qualcuno ha analizzato l’ideologia capitalista di Uncle Scrooge (quello che in Italia si chiama Paperone) lavorando su storie che ormai non erano più prodotte in America, ma in Italia, ed erano scritte da reduci del ’68 che giocavano appunto a creare un Uncle Scrooge come caricatura del capitalista classico. Non diremo che questo filone è finito: in teoria può vivere finché ci saranno nuovi fumetti. In pratica è in crisi, perché i nuovi creatori di fumetti hanno letto i critici sociali del fumetto. Come analizzare, in termini di sintomo ideologico, Crepax, Pratt, Moebius, Druillet o i Comix di Crumb? È facile scrivere una brillante analisi della “mistificazione” estetica di Puvis de Chavannes, ma come si fa con Picasso?

Tipo 3: Ogni fumetto è l’Iliade. Ogni corrente estetica o scientifica produce i propri imbecilli. Nel fumetto i fans si sono identificati coi critici. Si può collezionare per ragioni affettive orribili giornaletti degli anni quaranta, mal scritti e peggio disegnati, perché ci ricordano la nostra giovinezza. È accaduto che molti di questi fans si sono messi a scrivere sull’oggetto del proprio amore come se ogni fumetto fosse un’opera d’arte. Spesso i risultati sono stati patetici. Bisogna stare attenti a questo tipo di saggistica, perché talora assume un aspetto che a prima vista è simile alla saggistica di quarto tipo. Anche in questi casi (tipo 3), nella misura in cui il fan ha leggiucchiato qualcosa nei livres de poche, l’analisi può essere surrogata da citazioni di Saussure, o di Mircea Eliade. Certo, nell’Iliade, nella serie di Flash Gordon (che i francesi si ostinano a chiamare Guy l’Eclair), come nel più disgustoso prodotto di una terza mano, si possono trovare il signifiant e il signifié, le situazioni archetipe, le strutture del mito. Come i cattivi greimasiani che trovano quadrati anche nell’orario ferroviario: arrivo vs partenza, non-partenza vs non-arrivo. È ovvio che il quadrato c’è anche nell’orario, il guaio è che non c’interessa saperlo perché lo sappiamo già.

Il quarto tipo. Questo richiede un discorso più lungo. Cerchiamo di fare un esempio che riguardi la letteratura scritta. Ricorderete il brano platonico in cui il faraone Thamus rimprovera il dio Thot perché ha inventato la scrittura; “male – gli dice in sintesi -perché cosi gli uomini perderanno l’arte della memoria, e quindi una bella porzione della loro interiorità”. Certo, se fossimo stati presenti al dibattito, avremmo dovuto difendere il medium-scrittura. Ma ora la battaglia è vinta. Quindi quando analizziamo un’opera letteraria non stiamo a discutere sulle virtù o i vizi del medium-scrittura. In principio, dimentichiamo il medium. Puntiamo l’attenzione sul “genere” (interno al medium: lirica, romanzo storico, tragedia…) e, oltre il genere, sull’opera singola. Dimenticare il medium non significa dimenticare che siamo di fronte a un’opera che, mediante la scrittura alfabetica, manipola il linguaggio. Anzi, ogni volta che l’autore, con una felice soluzione stilistica, rimette in discussione e l’arte della scrittura e l’arte della parola, riconsideriamo entrambe dall’inizio. Ma non per partito preso. In linea di principio, ripeto, ci dimentichiamo del medium perché ci muoviamo in esso come pesci nell’acqua. Quindi siamo esentati da ogni dovere apologetico circa il medium, e analizziamo l’opera singola per quello che è, come esecuzione particolare di un’arte (o di una tecnica) che non viene più messa in discussione (almeno, non in primo piano e in prima istanza). Questo tipo di saggistica, per quanto riguarda il fumetto, è abbastanza recente. Bisognava infatti attendere due eventi, non necessariamente coevi: (i) che il fumetto diventasse maggiorenne, (ii) che diventasse maggiorenne la critica del fumetto. Il primo evento è abbastanza remoto (anche se solo negli ultimi vent’anni il fumetto è diventato, più che maggiorenne, dotto, colto, sofisticato, metalinguistico, sperimentale). Il secondo evento è più recente, perché la critica era adolescente quando molti fumetti erano già maggiorenni. Parlare di fumetto maggiorenne non significa solo parlare di evoluzione di linguaggio, di temi, di generi. Significa parlare di una proliferazione di tendenze, e di livelli, per cui si può parlare di fumetto come si parla di letteratura scritta: fan parte della letteratura scritta Blanchot e Dard, così come fan parte del cinema i vecchi film di Eddie Constantine e Godard. Per fare critica di quarto tipo bisogna dimenticare che esiste un genere detto fumetto. Bisogna andare alla ricerca dell’evoluzione di generi, temi, tecniche e motivi nell’universo del medium-fumetto.

All’inizio i fumetti si dividevano in comics tout court e in “serious” comics. Gasoline Alley era un “comic”; The Phantom era un “serious comi “. I fumetti “seri” erano tali perché non avevano ironia, di solito. Non erano seri perché fossero “maturi”, anzi erano adolescenziali e immaturi, mitologici, privi d’ogni intento critico. I fumetti comici si volevano satirici, ma la loro satira non andava al di là di un blando umorismo: giochi di caratteri, satira bonaria del costume quotidiano dell’uomo medio americano (si pensi a Blondie, a Beetle Bayley, a Donala Duck); e si cita, tra i fans del tipo 3, Mickey Mouse giornalista come un esempio di denuncia del malcostume e del gangsterismo, quando Hollywood ci aveva dato ormai molto ma molto di più, e la storia di Walt Disney riprendeva un topos ormai alla portata di tutti, godibile persino per i nipotini di Al Capone.

Negli anni cinquanta c’è stato negli Stati Uniti qualcosa di nuovo, e penso prima a Schulz e poi a Feiffer. Schulz sembra parlare del “privato” di alcuni bambini in maniera (facilmente trasformabili in pupazzi, come è stato fatto dal mercato dei fans) ma in effetti ci dice qualcosa sulla condizione umana e sulle nevrosi degli adulti. Feiffer inaugura un filone moralistico, di feroce critica sociale. È conscio dei limiti dell’impresa, dei condizionamenti del mercato, e in un’intervista si autodenuncia come buffone del re, ma il filone che apre non è da trascurare. Su questa scia si arriva a una serie non amplissima, ma ragguardevole, di pagine di “critique de moeurs”, tra cui citeremo l’italiano Altan e la Bretécher (non è un caso che si Altan che Bretécher tentino anche, insieme alla critica della contemporaneità, la rivisitazione, anzi la demistificazione della storia, e magari della storia sacra, Altan con San Francesco e Bretécher con Santa Teresa).

Proprio perché mi annovero tra coloro che sanno ormai leggere il fumetto dimenticando (in principio) il medium, affermo che con queste opere si è inaugurata una nuova letteratura (un genere appunto) che ha preso il posto delle opere dei grandi moralisti di un tempo. Vauvenargues, La Rochefoucault ed altri essendo finiti sui cartigli dei cioccolatini, scomparsi Karl Kraus e Jerczy Lec, chi è oggi che pratica, con altri mezzi, gli umori settecenteschi dei critici del costume? Pucelle d’Orléans o Bijoux indiscrets, dove li ritroviamo oggi (e non sto facendo questioni di “grandezza”, mi limito prudentemente ad andare alla ricerca dello spazio per un genere)? Le storie della Bretécher appartengono al filone della letteratura moralistica. Non la imitano, la sostituiscono. L’amatore della pagina alfabetica, senza immagini, potrà pensare (come re Thamus) che è triste: ma è così.

Allora si scopre che quando Giovannoli parla di Bretécher citando Goffman o Bateson, non sta facendo giochi da fan acritico: li cita perché essi, scienziati del sociale, parlano della stessa cosa di cui parla il moralista, com’è sempre avvenuto. E quando Arasse parla di realismo, assurdo, classicismo (tutte categorie letterarie illustri) e cita Bachtin, fa quello che si deve fare quando si analizza un testo – sia esso letterario, pittorico, cinematografico o, appunto, a fumetti. E quando Barbieri analizza la cornice, non sta ripetendo il luogo comune da saggista di tipo 1, per cui scopre che la cornice è elemento sintattico della lingua del fumetto: sta cercando di capire quale sia la sintassi propria del discorso moralistico di questa autrice. La lettura dei giornali (diceva Hegel) è la preghiera del mattino dell’uomo moderno. E la riflessione moralistica sul costume e la società, è la meditazione dell’uomo laico. Ora noi apriamo il giornale, o il settimanale, e nelle sue pagine (assai periture) troviamo – a disegni – elementi per svolgere quotidianamente le nostre pratiche di pietas: riflessione impietosa, ironica, ma assai complice, sui vizi di coloro che ci sono fratelli. E prova ne sia che, leggendo autori come Bretécher, talora ci vergogniamo e scopriamo che di noi, di noi narra la favola.

Giusto dunque riunire in volumi, e meditare più distesamente, ogni pagina che anziché divertirci, ci induca a pensare.

 

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