Pane, amore e videogiochi

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Un progetto di alfabetizzazione informatica e web promosso dalla Regione Emilia-Romagna si chiama proprio “Pane e Internet“. Ma all’incontro di sabato 28 maggio a Far Game presso la Cineteca di Bologna, dal titolo “Bang/Gulp/Game! Contagi tra fumetto e videogioco” il grande assente è stato l’amore. O forse circolava male, tra fan rispettivamente di fumetti, di videogiochi e di semiotica, segno che ancora sono dimensioni che subiscono un’attrazione reciproca ma che patiscono un dialogo difficile.

La differenza più macroscopica tra un videogioco e un fumetto è forse un affaire di storytelling più che una questione aperta sulle trasformazioni digitali della nona arte e dei confini secondo cui si può ancora definire tale.

L’illustrazione dei comics, come ha raccontato “sulla propria pelle” Jacopo Camagni, ha molto da dare alla creazione del mondo visivo di un game (e ne ha sempre di più, soprattutto in termini di studio di character design, anche se nel fumetto l’abbondanza di dettagli caratterizzanti un personaggio può tradursi in condanna).

Poi ci sono gli eroi e i supereroi, che hanno invaso l’immaginario collettivo attingendo a piene mani dalla storia dei comics e trasferendone le passioni, le suggestioni e le situazioni topiche nei videogiochi come nel cinema. Mai come negli ultimi anni abbiamo assistito a tanti prequel, sequel, reboot, adattamenti sempre con gli stessi protagonisti: X-Men, Batman, Superman, e ora Thor, Lanterna Verde, Capitan America… tutto un universo a vignette ormai vintage catapultato nell’oggi o in un vicino futuro. I colossal hanno affermato la forza del fumetto come crocevia di contenuti e ne hanno sancito una volta per tutte la dignità. Anche se tutto ciò può suggerire una sconfortante mancanza di nuove idee per prodotti di massa e un rassicurante rifugio in storie e protagonisti riconoscibili.

I videogiochi non aspettavano altro, in un furoreggiare di superpoteri, effetti speciali e computer grafica (e forse proprio Spider-Man è stato uno spartiacque).

Alcuni interessanti esempi di grandi scrittori di fumetti che hanno beneficiato di questo incontro sono stati portati sul tavolo di discussione da Diego Malara: Peter David per Spider-Man Edge of Time, Rick Remender con Bulletstorm, Joe Kelly con Darksiders, Christos Gage con Dante’s Inferno, Dave Gibbons con Beneath a Steel Sky o Paul Jenkins con The Darkness.

Oltre ad una considerevole differenza di età, per cui il fumetto ultracentenario ha sperimentato, si è evoluto, ne ha viste di cotte e di crude, il mondo del videogame è ancora giovane, è, come ha detto sabato Roberto Recchioni, “una piscina di cui non abbiamo ancora toccato il fondo”. Un medium che non ha ancora completato la sua corsa evolutiva (il fotorealismo assoluto, posto che sia in effetti il traguardo, è ancora lontano) e come tale che non ha ancora avuto modo di rilfettere su sè stesso in modo strutturato e definitivo.

Ma torniamo alla differenza di genere e di natura tra fumetto e videogioco, quella varianza odi et amo: il modo del racconto. Se i comics, arte sequenziale per antonomasia, hanno nella vignetta e in tutti i suoi sconfinamenti e violazioni la cornice prima e obbligatoria per capire cosa c’è prima e cosa c’è dopo, i videogame sono un mondo aperto di racconti possibili, in cui una parte più o meno ampia di scelta e di logica narrativa viene lasciata al giocatore. Se è vero come sostiene da buon semiologo il professor Daniele Barbieri che tutto è narrazione, è altrettanto limpido che è proprio su questo scarto che si gioca la differenza (e il dialogo) tra i due linguaggi. Che Ubisoft, Electronic Arts e compagnia ci riflettano.

 

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